Negli anni 1988 e ’89 avevo preso di mira lo stupendo Ago di Tredenus, re dell’omonima conca adamellica, dal culmine affilatissimo, sul quale all’epoca correva solo la classica “Quarenghi”.
Erano vent’anni che nessuno tentava un itinerario nuovo sulla cima. Il giorno prima io ed Enrico Martinelli avevamo fatto il lungo avvicinamento da Malghe al Volano (3h) e dormito al Bivacco arancione a soli 20′ dall’attacco della Ovest dell’Ago. Al mattino, neanche troppo presto, abbiamo attaccato e, arrivati al secondo tiro, sentiamo delle voci dal basso che ci urlano che anche loro volevano aprire una via lì.
Sono bresciani, uno si chiama Galesi; li invitiamo a salire in quattro, ma dopo un tiro in comune noi andremo dritti per quella che è la vera “Diretta Cocomero”.
Lasciamo abbastanza materiale in parete da consentire l’individuazione per le successive ripetizioni che non sono state molte, ma ci sono state. Difficoltà 6a circa, nessun spit in via.
L’anno dopo sono tornato con Alberto Rampini, questa volta dal Rifugio Brescia. Abbiamo attaccato più a destra, per mirare a una linea che arrivasse ancora più direttamente alla punta dell’Ago. Siamo dovuti tornare due volte per colpa di un temporale e abbiamo tracciato “Tredenus Express”, con difficoltà fino al 6a+, con qualche spittino messo a mano e qualcun altro con un avvitatore spompato, la mia prima esperienza di apertura dal basso con un “trapano” appeso all’imbrago, stile che ho mantenuto tuttora.
Tredenus Express non si trova su nessuna guida, quasi nessuno sa della sua esistenza, e così sono tornato, nel luglio 2020, quindi 31 anni dopo, a riscoprire la linea, per modernizzare le soste e vedere se può essere ancora percorribile con divertimento e relativa sicurezza. Ad accompagnarmi mia moglie Annalisa Caggiati, che sin dal momento in cui ci eravamo conosciuti aveva espresso il desiderio di ripercorrere insieme una delle mie vecchie vie. Di certo, potendo scegliere, ne avrebbe preferita una con meno avvicinamento, ma è un dato di fatto che è arrivata sempre per prima sia al bivacco Cai Macherio sia all’automobile al ritorno. La ragazza insomma ha macinato 2400 metri di dislivello in poche ore + la via, niente male.
Francamente, non mi ricordavo niente, così siamo saliti “a braccio”, trovando nella parte bassa una sola delle vecchie soste, e poi abbiamo tirato su perpendicolarmente, Tiro trad dopo tiro trad, fino a congiungerci agli ultimi tre tiri del 1989, che sono poi i tiri davvero interessanti della via, quasi verticali e costellati di funghi di granito, che rendono la scalata molto più simile al calcare
Abbiamo incontrato così gli spit di 31 anni fa e ci abbiamo scalato sopra senza troppi problemi; sono ancora belli fermi e a 2800 metri non c’è la salsedine che corrode. Due chiodi normali, invece, sono venuti via a mano, altri li abbiamo ribattuti nelle fessure. Le soste sono state rifatte a fix moderni Kinobi con anello di calata, in modo che si possa scalare e si possa scendere con una singola da 70mt. I tiri 6 e 7 possono essere uniti per saltare l’unica sosta scomoda; ne risulterebbe un “tirone” da 60m, per il quale servono però 10 rinvii possibilmente lunghi.
La cima dell’Ago rende onore al suo nome: è più piccola di quella dell’Aguglia di Goloritze e simile alla Fiamma dello Spazzacaldera, ma qui stiamo parlando di una parete di 220 metri di sviluppo che finiscono con una cima larga una spanna. Uno spettacolo.